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LA FORESTA DI SMERALDO
(THE EMERALD FOREST)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 30 gennaio 1986
 
di John Boorman, con Charley Boorman, Powers Booth, Meg Foster (Stati Uniti - Gran Bretagna, 1985)
 
"Più di ogni altra opera dell'autore di Deliverance, La foresta di smeraldo va vista con occhio complice. Pena il fatto di vederne un film naturalistico, eventualmente ecologico. 0, peggio ancora, un Tarzan alla moda: il figlioletto di un ingegnere che lavora alle ruspe in Amazzonia, viene rapito dagli Invisibili, indiani "buoni", che vivono in mimetismo con la natura, e quindi in armonia con l'ordine naturale. Il padre parte alla sua ricerca, contrastato dai Feroci, indiani "cattivi" che si faranno corrompere dai Bianchi a colpi tradizionali di munizioni ed acquavite.

Visto così La foresta di smeraldo è un film impeccabilmente condotto secondo le regole del genere d'avventura da uno dei registi più "fisici" in attività. La ricerca quasi fanciullesca (edulcorata, con gli indigeni leccatini come al club Méditerranée, hanno detto coloro ai quali il film non è piaciuto) del paradiso perduto. Nel momento apparentemente felice del ritrovamento, le cose si complicano: perché il figliolo non desidera ormai più essere recuperato dal mondo civile. Perché anche per il padre è iniziato il periodo di presa di coscienza. Perché, soprattutto, è troppo tardi. L'intervento dell'uomo ha spezzato il difficile equilibrio fra i buoni ed i cattivi della foresta. Fra l'uomo, l'animale e la natura che, nel frattempo, la cinepresa di Boorman ci ha restituito con un naturalismo affascinante.

E proprio a questo punto di rottura che il cinema di Boorman ci introduce nei suoi temi di sempre: il rapporto magico fra l'uomo e la natura. In assenza del quale l'umanità corre alla catastrofe. Al termine del proprio itinerario iniziatico (altro aspetto tipico del cinema di Boorman) al ragazzino non rimane che una soluzione: il ricorso al soprannaturale. Grazie al potere trascendentale dell'immagine il cinema di Boorman s'investe così di quella magia che gli uomini di scarsa volontà hanno ormai perso. Entra in quel giaguaro ci trasporta nello sguardo dell'aquila che, sovrana, si libra al disopra delle passioni, e delle degenerazioni, per congiungere i due mondi. In questo ricorso al meraviglioso lo sguardo cinematografico di Boorman ci offre tra le cose più straordinarie di un'arte sempre più appesantita da finalità materiali.

Certo, anche Boorman non è più quello di Un tranquillo week-end di paura. Allora ci diceva, attenti, se violentate la natura, se non rispettate le leggi di una convivenza cosmica, la natura finirà col vendicarsi. Oggi le conclusioni sono più radicali: solo l'uomo, a questo punto, può rendersi conto del dramma irreversibile in atto. Solo l'uomo può ancora forse, intervenire.

Facendoci volare assieme all'aquila, queste cose Boorman non si limita a dircele. Ma riesce a mostrarcele: più che un compito, un dono che dovrebbe possedere ogni grande cineasta."


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